Nella storia del pensiero, poche cose come la ricerca sulla natura della moneta e sulle regole per la sua emissione e circolazione hanno impegnato le menti di studiosi, filosofi ed economisti. Dai tempi antichi e sino ad oggi, la teoria e la pratica si sono molto perfezionate, ed il dibattito si è concentrato essenzialmente su due punti fondamentali. Il primo punto è: quali sono le funzioni della moneta? Su questo argomento si è raggiunto ormai un consenso pressoché unanime, e le funzioni attribuite alla moneta sono state riconosciute essere quelle di:
- unità di misura del prezzo (o del valore) delle merci o dei servizi: un giornale costa 1,5 euro mentre un cono gelato ne costa 3;
- mezzo di scambio: consegnando 1,5 euro al giornalaio ottengo un giornale;
- riserva di valore: posso decidere di non spendere per due giorni 1,5 euro, rinunciando al giornale, scegliendo dopodomani di comprare un gelato o di continuare a risparmiare.
Il secondo punto, ancora oggi molto più dibattuto, si riferisce all’origine della moneta. La domanda a cui si tenta di dare una risposta è: la moneta è nata per iniziativa spontanea del mercato oppure è una creazione del potere pubblico, ed in particolare dello Stato? In relazione a questo argomento, la dottrina si divide essenzialmente in due grandi filoni di pensiero:
- la teoria cosiddetta “catallattica” della moneta, emanazione del pensiero di Carl Menger e della scuola cosiddetta “austriaca”, e che sopravvive oggi nel pensiero dei teorici del cosiddetto “free banking”, che afferma la nascita “spontanea” della moneta come creazione da parte del mercato;
- la teoria cosiddetta “cartalista” o “statale” della moneta, frutto dell’opera dell’economista tedesco Knapp che, invece, attribuisce alla moneta una natura di elemento “calato dall’alto” e frutto della precipua volontà di un ente sovraordinato rispetto a ciascun individuo.
A seconda del fatto che si tenda a privilegiare l’una piuttosto che l’altra scuola di pensiero, si teorizzano differenti modelli economici e sociali, basati, alternativamente, sulla prevalenza della libertà individuale rispetto al potere ordinatorio dello Stato (o di altro ente esercitante la sovranità) o, viceversa, la prevalenza dell’ente centrale sovrano rispetto alla libera manifestazione di volontà di individui o gruppi.
Nell’evoluzione storica dello strumento monetario, si può individuare un unico filo rosso, che lega le più antiche forme di strumenti di regolazione dei pagamenti alle più innovative modalità oggi utilizzate. Tale filo rosso, a prescindere dalla risposta che può essere data al secondo quesito, è individuabile nella natura della moneta quale fenomeno prettamente giuridico, prima ancora che economico. La teoria, per così dire, evolutiva della moneta, che fa derivare la stessa, per l’appunto, da un’evoluzione che muove dal baratto e giunge sino alla moderna moneta scritturale o creditizia, passando per la moneta merce, teoria che, ancor oggi, domina i libri di testo in materia, si è rivelata, alla luce dei più recenti studi antropologici ed archeologici, priva di fondamento. Infatti, da tali studi è emerso come sistemi monetari diversi abbiano convissuto nelle varie esperienze storiche, a partire dall’antica Mesopotamia, nella quale si era sviluppata un’efficiente economia di credito, e ciò si può evincere agevolmente dallo studio delle tavolette d’argilla venute alla luce nel corso di scavi nell’area, che, lungi dal riportare brani di poesie o di racconti, sono ricche di indicazioni economiche, quali registrazioni di pagamenti di tasse, conteggi di debiti, certificazioni di proprietà, prestiti tra privati, calcoli di tassi di interesse, leggi sull’usura.
Pertanto, sin dalla sua origine, la moneta si configura essenzialmente, almeno su base locale, come una pluralità di rapporti debitori/creditori tra i vari soggetti economici, rapporti che venivano riportati su appositi documenti (che variavano, a seconda delle tecnologie disponibili, in tavolette d’argilla o documenti cartacei) che venivano, poi, a loro volta, annotati, vista la loro importanza, in luoghi considerati “sacri”, quali il palazzo del Re, piuttosto che in templi appositamente dedicati a qualche “dio” protettore del commercio (è sorprendente come questa modalità di conservazione di queste antiche “scritture contabili”, che si evolveranno poi nei libri mastri medioevali e nei più moderni registri in partita doppia, assomigli agli odierni distributed ledgers che, con l’ausilio della tecnologia blockchain, consentono oggi di tenere traccia delle transazioni effettuate tramite bitcoin). Tali titoli avevano la caratteristica di essere “al portatore”, ovvero di poter circolare nell’economia ad estinzione di altri debiti. In pratica, il signor A, per acquistare una merce o un servizio dal signor B, rilasciava a quest’ultimo un documento (d’argilla o di carta) nel quale si impegnava, in un tempo futuro, prossimo o remoto, a consegnare al signor B un’altra quantità di merci o di servizi, considerata, dalle parti contraenti, di valore equivalente alle merci o ai servizi da questi venduti o prestati. A sua volta, il signor B poteva utilizzare lo stesso pezzo di argilla o carta per acquistare le merci e/o i servizi che avesse desiderato, a condizione che anche gli altri membri della comunità riponessero nel signor A la stessa fiducia che gli era stata accordata dal signor B. Questa è l’essenza della natura della moneta, ovvero un problema di “fiducia”. La moneta è, da sempre, e non soltanto da quando è stato abolito il suo legame con i metalli preziosi, una questione di “fiducia”.
In questo contesto inizia ad inserirsi l’autorità pubblica, essenzialmente per esercitare nella comunità il potere coercitivo di controllo e direzione sulle attività economiche, che costituiscono la “spina dorsale” di ogni collettività organizzata e, pertanto, un “boccone” sin troppo ghiotto per il potere e, successivamente, con il progressivo sviluppo del commercio tra varie comunità di persone sconosciute tra loro, e tra le quali, quindi, necessariamente, viene meno quel rapporto di fiducia che può sussistere in piccole comunità primitive, stabilire, anche tramite accordi “internazionali”, le modalità di circolazione delle merci e/o dei servizi tra le predette comunità con la fissazione di un’unità di conto comune o, comunque, condivisa, atta a svolgere le tre funzioni sopra delineate di, per l’appunto, unità di misura del valore delle merci e/o servizi, mezzo di scambio e riserva di valore.
La storia economica è, pertanto, un avanzare continuo e costante di questo processo, che vede un progressivo ingrandirsi dell’autorità statale ed un progressivo incremento del suo potere coercitivo di controllo e direzione nei confronti delle collettività.
Inizialmente, tale controllo si esplica attribuendo alla moneta dei caratteri oggettivi, legando il suo valore a determinati tipi di merci, quali i metalli preziosi (in particolare, l’oro e l’argento). Una volta resisi conto della disfunzionalità di tali meccanismi di “aggancio” ad altre merci (che limitavano fortemente la possibilità dell’autorità di controllare e dirigere sia la fase dell’emissione che quella di circolazione del mezzo monetario e che, peraltro, risultavano sempre disattesi dal pubblico, che, in assenza dello scarso mezzo monetario “legale”, inventava sempre nuovi mezzi, sempre riconducibili allo schema debito/credito sopra descritto) gli Stati hanno, a fasi alterne e con ripensamenti continui, ma definitivamente (almeno, ad oggi) a partire dal 1971, con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro pronunciata da Nixon a ferragosto di quell’anno, adottato il sistema del “corso forzoso”, ovvero quel sistema monetario in cui vige la non convertibilità tra la moneta cartacea ed il suo equivalente in metallo prezioso. In tal modo, l’autorità pubblica (generalmente gli Stati o le banche centrali, via via sempre più indipendenti dai primi) hanno imposto la carta moneta da esse emessa quale unico mezzo legale per tutti i pagamenti, transazioni commerciali e finanziarie nell’ambito di un determinato territorio (generalmente, il territorio dello Stato ma anche territori comprendenti più Stati, come, ad esempio, la cosiddetta “zona Euro”) ed hanno stabilito l’illegalità di clausole che obblighino ad effettuare pagamenti con mezzi diversi dalla valuta emessa dalla pubblica autorità deputata a tale compito, obbligando, altresì, chiunque a ritenersi soddisfatto del pagamento effettuato con moneta a corso forzoso (corso legale della moneta).
Da tutto il breve excursus storico sopra delineato, si evince il progressivo incremento del potere pubblico (statale e/o sovrastatale) in materia monetaria. Di fatto, oggi, gli Stati (rectius le banche centrali) hanno acquisito sempre maggior controllo di tutta la sfera legata alla creazione ed alla circolazione monetaria, stabilendo regole sempre più dettagliate anche in tema di sistema dei pagamenti. Si è così instaurato un vero e proprio monopolio della moneta, a favore di enti pubblici (o pseudo-pubblici) che, tramite il loro status di monopolisti, esercitano, in sintonia con il sistema bancario da essi regolamentato e diretto, un potere assoluto di controllo sull’attribuzione agli operatori economici della moneta cosiddetta fiat, incorrendo, peraltro, non di rado, nell’ambito del loro potere discrezionale di gestione della moneta, nella migliore delle ipotesi, in errori che spesso rendono il processo economico meno efficiente di quanto potrebbe essere qualora la materia monetaria fosse devoluta al mercato.
Ciò non sorprende. Fu Ludwig Von Mises che, già negli anni ’20 dello scorso secolo, concentrandosi sui sistemi pianificati del socialismo reale, mise in guardia sul fatto che, in un’economia moderna, ciò che rende efficiente il sistema è il corretto recepimento delle informazioni derivanti dai prezzi, informazioni che, inevitabilmente, tendono ad essere più corrette qualora siano il frutto di migliaia o milioni di interazioni spontanee di mercato piuttosto che dell’operato di un decisore unico. In altre parole, e concentrandosi sull’ambito monetario, il potere pubblico centrale molto difficilmente riuscirà ad ottenere e ad elaborare, in tempo reale, le informazioni necessarie a comprendere quanta moneta immettere nel sistema in modo da assicurare il dispiegarsi delle transazioni commerciali che quel sistema fanno vivere. Il mercato, nel suo libero agire, può, senza dubbio, con maggior efficacia, assicurare che la moneta non sia “troppa” o “troppo poca” in relazione al volume delle transazioni che il mercato stesso richiede.
Di qui l’urgenza di procedere ad una ridefinizione complessiva del sistema monetario in un’ottica libertaria, esplicantesi in un libero conio a base fiduciaria, che faccia progressivamente cadere tutta l’impalcatura coercitiva ed inefficiente della moneta a corso legale emessa in regime monopolistico da organi statali e dal sistema bancario che, di fatto, con la creazione di moneta bancaria sotto le rigide direttive delle banche centrali, ne costituisce la longa manus.Ciò al fine di rendere tutti potenzialmente in grado di agire in un mercato veramente libero, tramite la fiducia che il pubblico mostrerà nel “retrostante” monetario di ciascuno, costituito dalle sue capacità professionali e produttive, senza che si sia costretti ad “elemosinare” una graziosa concessione da parte di uno Stato pervasivo e onnipotente o di un sistema bancario con esso colluso.
Elemento imprescindibile di una vera libertà è l’uguaglianza delle opportunità, che vive in simbiosi con la libertà stessa, e che non può essere perseguita se non abbattendo anche nel sistema monetario, elemento cardine di tutto il sistema economico, un potere monopolistico (o, al più, oligopolistico) che non ha alcuna ragion d’essere, se non la perpetuazione di se stesso.