di Fabio Massimo Nicosia
Dal punto di vista di un’impostazione libertaria, la coesistenza di sistemi di valori diversi e anche opposti è concepibile in quanto questi valori siano, come si suol dire, compossibili, diversamente si vengono a creare dei conflitti, la cui soluzione “libertaria” diventa molto difficile, dato che favorire un sistema di valori finisce con il far recedere l’altro, il che va appunto a minare quella compossibilità.
Per fare un caso limite, ammettiamo che esista in società una comunità sadiana, la quale ammetta l’omicidio libero e la tortura libera, che certo non può essere intesa come comunità compossibile con altre, le quali invece continuino a proibire l’omicidio e lo considerino tabù.
Il caso limite ci porta a casi meno estremi, ma non molto più facili, come l’aborto o il veganismo, dato che, per un antiabortista, la soppressione del feto è un omicidio, e quindi egli si potrebbe sentire legittimamente autorizzato a impedire la commissione di aborti, attività che, al contempo, viene rivendicata come diritto da altri, o, meglio, da altre. L’animalista a sua volta può equiparare all’omicidio la soppressione di animali, o la sperimentazione animale, e quindi potrebbe benissimo sentirsi legittimato a impedire con la forza soppressioni di animali o violenze nei loro confronti.
Il pluralismo dei valori in una società diventa quindi un problema quando quei valori sono logicamente incompatibili -incompatibili dal punto di vista della logica deontica-, tale per cui non si può contemporaneamente autorizzare e vietare l’atto A, a meno che davvero non si arrivi all’estremo di dire “chi vuole uccidere uccida, chi non vuole uccidere non uccida”.
I problemi che abbiamo di fronte oggi sono meno drammatici (salvo che simili dilemmi si presentano in presenza di stato di guerra), ma ho estremizzato la questione proprio per fare capire il senso del ragionamento.
Noi per alcuni decenni dopo la fine della guerra abbiamo vissuto immersi in un sistema di valori, o in un sistema contenente alcuni valori, ritenuti fondamentali, per quanto più forse dalla propaganda del sistema che non nella vita reale, e tuttavia indubbiamente in buona parte anche nella vita reale: molto approssimativamente, abbiamo vissuto immersi in due fondamentali sistemi di valori, quello cattolico e democristiano e quello comunista, o comunque “di sinistra”, salvo che entrambi questi modelli sono venuti a mancare per una serie di ragioni.
Il primo modello è venuto a cadere anzitutto attraverso i processi di secolarizzazione, data anche l’incapacità del mondo cattolico di adeguarsi per tempo (senza che questa sia da considerarsi una critica, solo una constatazione), e quindi dall’irresistibile tensione tra un sistema di “valori cattolici” e una “realtà secolarizzata”, tensione fonte di ipocrisia e di fuga dall’ipocrisia da parte delle nuove generazioni, come la nostra commedia cinematografica “all’italiana” ha ben dimostrato (si pensi a Signore e Signori di Pietro Germi, e siamo ancora negli anni ’60).
Il sistema dei valori comunista e “di sinistra”, grosso modo riconducibile alla celebrazione della “resistenza antifascista”, ha trovato da noi nel 1968 il proprio culmine, ma anche la propria tomba, dato che l’estremizzazione della sinistra e dell’”antifascismo” ha determinato a propria volta un processo di secolarizzazione a sinistra, “laicizzando” la sinistra per le stesse ragioni per cui si è venuto sgombrando il campo dai troppo rigidi “valori cattolici”, e dalla loro incapacità di relazionarsi con il mondo reale; con la conseguenza che il reale praticato ha finito con il frantumare il solo formalmente dichiarato, non solo tra i cattolici, ma anche nel mondo vasto di sinistra, con chiara incidenza della cosiddetta cultura radicale in un mondo che continuava ad autopercepirsi come marxista.
Al livello della percezione popolare, i due fenomeni hanno poi fatto nella sostanza identica fine con la triade Mani Pulite, Caduta del Muro di Berlino, Trattato di Maastricht, nel senso che la massa della cittadinanza si è vista comunicato, di fatto in uno stesso lasso di tempo, che i famosi custodi dei grandi valori morali e dell’antifascismo erano solo una massa di ladroni disonesti e farabutti (non sto dicendo che lo fossero, sto dicendo che questo è quanto si è venuto affermando), e che i portatori dei valori comunisti e di sinistra erano, forse anche loro ladroni e farabutti, ma soprattutto farabutti per avere indotto milioni di persone a credere a una falsa e fallimentare ideologia attraverso false narrazioni (anche qui non lo sto affermando, ma solo illustrando una percezione).
Il Trattato di Maastricht, e quindi il “neo-liberismo” e l’entrata nell’euro sono lì a fare da ciambella di salvataggio a questi smarriti, soprattutto a militanti di sinistra finiti sull’orlo del suicidio per quello che in molti hanno percepito come vero e proprio fallimento della propria esistenza: si pensi allo spappolamento delle nostre gonadi che ha procurato una serie infinita di film di Nanni Moretti e di altri piangitori della sinistra che fu.
Nel frattempo, quale però tra i tanti possibili, si è poi affermato come maggiore effetto della secolarizzazione, della rivoluzione sessuale degli anni ’60, delle “lotte per i diritti civili” degli anni ’70? Il fenomeno di maggiore rilevanza sociale, a parte la legittimazione della pornografia (prime vagine spalancate fotografate su rivista si segnalano attorno al 1974, e poi sempre oltre fino al 1977 circa), è stato evidentemente quello delle TV locali prima (es., certe trasmissioni di TeleAlto Milanese e di Antenna 3 Lombardia, come “La bustarella” con Ettore Andenna), e ovviamente soprattutto con l’avvento di Berlusconi e delle sue TV, partite con moderazione a metà degli anni ’80, e poi via via sempre più sbilanciatesi sul fronte “più figa per tutti”, al quale, non a cagione della figa, ma in generale, si è accompagnato un deciso abbassamento di qualità delle trasmissioni rispetto a quelle dei tempi del monopolio RAI.
Nel frattempo, abbiamo avuto la Milano da bere di Craxi celebrata da Alberoni, gli stilisti sempre milanesi, i cinepanettoni e i film sugli yuppies, diciamo in generale il grande “fenomeno Vanzina”, tutte espressioni del crollo dei vecchi valori, crollo che unisce quelli cattolici e quelli “di sinistra”, entrambi sempre meno capaci di attrarre le nuove generazioni, in quanto entrambi visti come palla al piede e moralismo nei confronti di nuove generazioni disancorate da quelle culture e avide di dinamismo (craxiano, martelliano, berlusconiano, vanziniano, etc.).
A questo però va aggiunto un altro fenomeno molto importante: il crollo di qualità della scuola pubblica, dovuto a una serie convergente di concause: anzitutto, la lotta della sinistra alla Don Milani contro la “scuola di classe”, che ha condotto rapidamente all’affermazione che i corsi di studio devono essere “facili”, in modo da assorbire i figli delle vaste masse lavoratrici, i quali, partendo svantaggiati per ragioni di modesta cultura familiare, possono farsi strada a scuola solo se possono dedicarsi alla scuola senza troppo sforzo: e infatti andare a scuola è obbligatorio, quindi è considerato conservatore o reazionario che gli ultimi della classe abbandonino e vadano a lavorare; a questo va aggiunto che la scuola non ha operato da “servizio della cultura”, ma da “pubblica amministrazione”, e quindi ha assorbito e imbarcato come docenti una grande quantità di ignoranti, magari provenienti dalle aree depresse del paese, con scarsa dimestichezza con la lingua di Dante, e tuttavia ritenuti meritevoli di pubblico stipendio, prima come precari, e poi stabilizzati.
Infine, ha contribuito, dando la mazzata finale, al decadimento della scuola italiana, l’interesse capitalistico e tecnocratico a che a scuola si imparasse ad avvitare bulloni, più che a pensare criticamente (e in tal senso abbiamo avuto decine di pronunciamenti da Prodi alla Bonino a Cingolani), sicché abbiamo avuto questa strana convergenza tra “educazione civica” de sinistra e ossequio alle esigenze del capitale, per cui “alle leggi si obbedisce” diventa regola a un contempo de sinistra, in nome del “senso civico”, e del capitale interessato a conseguire dalla scuola masse obbedienti: l’apoteosi si ha nel momento in cui, avendo la sinistra dismesso ogni ambizione di trasformazione sociale -dopo il crollo del Muro si sono trovati con il nulla cosmico in mano, in assenza di nuove elaborazioni adeguate-, ed essendosi fatta cantrice di Maastricht, dell’euro e della BCE, “senso civico” de sinistra ed “esigenze del capitale” hanno finito con il sovrapporsi, immedesimarsi, e anzi divenire una cosa sola, dato che il capitale abbisogna del “senso civico” delle masse, vale a dire della loro acquiescenza.
Con il venir meno del lavoro a vita, del “posto fisso”, anzi, con l’avvento del lavoro a giorni o a mesi, con il venir meno della pubblica amministrazione come pancia di assorbimento di disoccupati, vale la regola “neo-liberista”, e da noi renziana, dell’”ognuno si arrangi”, “ognuno è imprenditore di se stesso” (ma senza libero conio e impossibilità di accesso al credito), del “valorizza il tuo capitale umano”, e oggi siamo pieni di soggetti che impartiscono lezioni su Tik Tok sul “trading on line” (dove il 90% degli “investitori”, o meglio scommettitori, perde) o sull’autopromozione umana -il che sarebbe buona cosa se tutti avessero disponibilità monetaria di partenza, e non si fosse costretti a fare l’”imprenditore di se stesso” essendo però degli spiantati pagati in visibilità-, a fronte di una massa enorme di pensionati e con la distruzione della piccola impresa deliberatamente preordinata dall’Unione Europea, l’attuale “pluralismo dei valori” è pluralismo di pensieri deboli, debolissimi, facilmente oggetto di sussunzione con l’affermarsi di una tecnocrazia scientista e transumanista, avente sempre a fondamento la titolarità dell’emissione monetaria o il facile accesso a essa, ferma restando la capacità di indebitare i popoli con lo strumento micidiale del debito pubblico e della moneta a debito (vedi Recovery Fund).
Un esempio di pensiero debole e debolissimo è il famigerato “la tua libertà finisce quando inizia la mia”, che ne è l’epitome, la norma di chiusura definitiva, insieme a “non devi parlare di quello che non conosci” e “rispetta i competenti”, ovviamente se allineati col regime; il tutto in un contesto di ignoranza e semicoltismo diffusi a piene mani da una scuola pubblica che ha interesse solo a insegnare a rispettare le regole che l’idiocrazia impone (mascherine, anche metaforiche), con la riduzione della sinistra a un grottesco boldrinismo, sempre più di frequente contestuale all’apologia della grande impresa come forma della modernità -affermazione che può anche rivendicare qualche generico ascendente marxiano-, rinforzando la propensione delle odierne élites a dividere i cittadini in buoni e cattivi, essendo i primi gli aderenti ai valori del sistema e i secondi gli ormai pochi renitenti alla leva.
Intanto si scopre che il sistema del credito sociale cinese, che stiamo importando, in realtà è un prodotto dell’idiocrazia capitalistica occidentale, con i suoi “punteggi di qualità” e di aderenza a determinati parametri, aziendali, assicurativi e simili, e quindi il modello del trattare lo Stato come azienda privata, che tratta i cittadini da dipendenti, ci viene dalla Cina, ma la Cina l’ha preso da noi, come dimostrano gli studi sui rapporti tra metodologie di organizzazione nazista e di organizzazione manageriale, tal per cui ci è stato detto tante volte che dentro la grande azienda il dipendente è come il soldato in un esercito o in una caserma: questo interscambio culturale, per dirla ironicamente, tra Oriente e Occidente, ha quindi matrici in entrambe le culture, ognuna delle quali cerca di aggiungere il proprio carico da undici in nome della “comunità” o dell’”efficienza”, e quindi del monstrum, realisticamente parlando, della “comunità efficiente” (contro l’individuo), per giungere poi all’apoteosi dell’idiocrazia (da idion, privato in greco), ossia il vero e proprio “Stato privato”, che poi è un modello per molti versi di derivazione nazionalsocialista (qui andrebbe aperto un complesso discorso sulla visione hitleriana dello Stato, che non era personale di Hitler, ma di un vasto movimento culturale), e che trova oggi nuovi riscontri nella disinvoltura con cui lo stesso governo Draghi tratta lo Stato di diritto, ossia ignorandolo, e trattando lo Stato stesso come una serie di uffici a sua disposizione, modello da tempo avallato dalla stessa Unione Europea.
Intanto alla sinistra resta solo, quale elemento di distinzione, l’arma del politicamente corretto, avendo la sinistra perso ogni capacità di incidere sulla struttura sociale “vera”, e quindi può solo recuperare tardivamente e malamente le “battaglie per i diritti civili”, trasformandole da difesa della libertà in un nuovo “liberalismo degli obblighi”, come nel caso del demenziale e analfabeta giuridicamente DDL Zan, con crescente avvicinamento ai puri deliri del politicamente corretto americano, vicenda nella quale davvero “la sinistra”, essendo impedita dal proporre autentiche trasformazioni sociali, si butta con il massimo estremismo possibile sulle cazzate, giungendo a ostracizzare chi dice che “la donna partorisce” o altro di simile, non si sa bene se perché non è la donna a partorire, o se perché il fatto di partorire non rende donna.
E quanto più la sinistra, da allineata al sistema, se ne rende caposaldo -in quanto l’unica in grado di legittimarlo in epoca di secolarizzazione e di smarrimento dei valori tradizionali-, tanto più eccederà in cazzate di questo tipo, essendo ormai questo il suo ubi consistam, e allora perdere anche tale carattere finirà con il relegarla definitivamente nella pattumiera della storia. D’altra parte, il delirio del politicamente corretto diventa anche esattamente formula di legittimazione del grande capitale, dato che è fin troppo ovvio che se Facebook fosse culturalmente “conservatore”, il suo monopolio non sarebbe tollerato, così come non sarebbero tollerati i suoi abusi, sicché l’adesione al politicamente corretto diventa un lasciapassare sociale per poi potere abusare del proprio potere.
A fronte di tutto questo, noi del Partito Libertario ovviamente possiamo ben poco, da soli: quello che possiamo fare è però reintrodurre nel discorso politico la necessità di gettare alle ortiche la stagione dei “pensieri deboli”, in nome di un nuovo pensiero forte: diciamo che è anche una nostra strategia differenziante di marketing.