La lotta di classe rappresenta un fallimento del mercato.
Se il mercato fosse come lo ipostatizzano i liberali, ossia un mondo nel quale si scambia liberamente sulla base delle proprie preferenze, non esisterebbero conflitti, ma solo armonia.
Il fatto è però che, stante l’inadeguatezza delle teorie della proprietà in voga e, ancor più, l’effettività attuale dei titoli di proprietà, poi l’armonia auspicata del mercato non esiste affatto, e quindi al mercato armonico si sostituisce il mercato segnato dai conflitti, perché vi sono ricchi e poveri, potenti e privi di facoltà legali effettive, e così via.
Marx concentra tutta la sua attenzione sul conflitto capitale/lavoro, che già detto così mostra come vi sia qualcuno non dotato di capitale, e allora mi dovete spiegare perché alcuni o molti non sono dotati di capitale con tutto il capitale comune che c’è, a partire dal demanio, e con la facoltà di emettere moneta, che già c’è in varie forme, compresa quella di emettere futures, solo che ovviamente nessuno ne sa nulla.
Non esiste però solo il conflitto capitale/lavoro, e ometto di parlare di conflitti uomo/donna e simili.
Parlo di conflitti capitalista/consumatore, stanti le asimmetrie di potere, economiche e informative.
E parlo di conflitti tra competitors, quando essi mirano a conseguire lo stesso bene, che quindi è “scarso”, anzi, anche più di scarso, dato che è esclusivo, che si tratti di una gara d’appalto formale o di fatto, e quindi qui davvero scattano i ricatti, le violenze, le automobili che saltano per aria come nei film, perché codesto capitalismo para-statale è una forma-mafia, absit iniuria verbis, trattandosi di termine tecnico.
Altro che armonia del mercato, che sembra il catechismo delle elementari.
Tra le mie varie letture attuali -io sono un anarchico della lettura, leggo qua, leggo là, in base alla mia applicazione alla lettura della teoria dell’utilità marginale decrescente- si situa Julius Evola, “Il Fascismo visto dalla destra”, in cui si svolge una critica impietosa del fascismo, però da destra, cosa a cui non siamo abituati, poi voi men che meno, dato che leggete solo gli scritti di Enrico Letta.
Ebbene, io ho sempre imparato moltissimo dai reazionari, perché sono sorprendenti, dicono delle cose che non ti verrebbero mai in mente, essendo cose totalmente anti-mainstream, anche quando magari non le condividi affatto.
Però siccome siamo lettori intelligenti, riusciamo a trarre insegnamenti anche dalle cose che non condividiamo, dato che la nostra mente aperta è in grado di ROVESCIARE, magari, l’affermazione sorprendente, nella quale ci siamo imbattuti, e ricavare da siffatto rovesciamento dialettico un NUOVO CONCETTO, che è frutto della speculazione reazionaria, ma, bizzarramente, è a sua volta speculare a esso, e quindi, ribaltando la stravagante novità reazionaria, ricaviamo una nuova nozione, la quale è invece pienamente di nostro comodo.
Dopo questa pippa posta a premessa, vengo al punto che mi sta a cvore a queste ore 10,21 del giorno 13 aprile: quello della NAZIONE.
Anche qui Julius Evola ti sorprende, perché mi critica il Fascismo per avere fatto proprio una sorta di “nazionalismo” abbastanza dozzinale, patriottardo, borghese e piccolo borghese, neo-risorgimentale, “cattolicheggiante”, “benpensante”, insomma retorico e di superficie più che di sostanza.
Molto severo qui Julius, tuttavia abbiamo ragione di trarne insegnamenti, come dicevo, allorché il tantrico filosofo che cavalcava la tigre mi viene a dire che siffatto nazionalismo venne originariamente usato dai liberal-patriottici -e allora qui si apre un lunghissimo discorso sui rapporti tra borghesia e Stato monarchico, ma tralascio- come pretesto per combattere la lotta di classe come proposta dalla sinistra: “alla lotta di classe contrapponiamo l’unità della nazione”, già me lo vedo quello in piazza davanti i canonici quattro gatti.
Epperò, se non siete del tutto ottenebrati, quali in effetti non siete, dato che siete miei amici, avrete notato che il riferimento nazionalistico, negli ultimi anni, ha assunto ben altro segno, dato che non è più il pretesto retorico e patriottardo per combattere la lotta di classe, anche per la saliente ragione che qua di lotta di classe ve n’è ben poca; ma, più di frequente, si invoca la nazione per contrapporsi alle élites continentali, e quindi l’invocazione patriottica ha mutato di segno.
Ossia, avrebbe mutato di segno se Giorgia non fosse ormai del tutto neutralizzata e riassorbita dal sistema.
Comunque vi invito a riflettere sulla possibilità di un recupero della nozione di nazione, che sia aggiornata al nuovo contesto.